IL DIGITALE NELLA NOSTRA GIOVANE MENTE

Diventa fondamentale che i giovani abbiano un atteggiamento positivo nei confronti dei cambiamenti

Nel dopoguerra, l’introduzione degli elettrodomestici nelle case, come ad esempio il frigorifero o la lavatrice, ha permesso un nuovo modo di vivere e ha modificato le abitudini delle persone, facendo anche risparmiare tempo ed energie. Per quanto riguarda il settore della comunicazione, la televisione ha cambiato il modo di ricevere notizie e di informarsi. Il rischio maggiore era forse quello di trascorrere troppo tempo in casa seduti sul divano, davanti a uno schermo, ma la televisione non accompagnava le persone ovunque si trovassero e in ogni momento della giornata; soprattutto agli albori, infatti, il palinsesto era ridotto a qualche ora nell’arco della giornata e i programmi non coprivano tutte le ventiquattro ore. La tecnologia che è entrata in modo molto profondo nella nostra quotidianità e che, con i suoi vantaggi e svantaggi, ci accompagna ovunque e in ogni momento è quella di internet.

Dalla comodità degli acquisti online con gli e-commerce al blogging professionale, il web sembra premiare le buone idee: non necessariamente le più intelligenti, ma certamente quelle che riescono a individuare i temi caldi del momento e catturare l’interesse degli utenti. L’opportunità di mettersi in gioco pubblicamente, sperimentando la forza delle proprie convinzioni con un confronto indiretto, costituisce anche una forte spinta al rafforzamento della propria identità. Inoltre, sebbene non sia ancora stato confermato dalle ricerche, sembrerebbe che la rapidità con cui i giovani si muovono attraverso i dispositivi sia anche un fattore di potenziamento del processo decisionale (o decision making).

Diventa fondamentale che i giovani abbiano un atteggiamento positivo nei confronti dei cambiamenti e che il loro ambiente (genitori, insegnanti, ecc.) li sostenga in tal senso. La curiosità verso le numerose possibilità che la vita offre non deve spegnersi con il divenire adulti, poiché è la spinta migliore per esercitare lavori appaganti durante tutta la vita professionale. 

D’altra parte, alcuni studi dimostrano che i nostri adolescenti hanno delle vulnerabilità che è necessario affrontare fin da subito. All’interno di questo quadro si collocano anche le nuove dipendenze, che non sono solo le dipendenze dal gioco e dai social, ma anche da una tecnologia che è diventata il nostro interfaccia con il mondo. Dati recenti mostrano infatti come sia pervasivo l’utilizzo della tecnologia da parte dei giovani. Mediamente i ragazzi italiani trascorrono 2,6 ore al giorno su Internet. Sempre i dati ci dicono che noi picchiettiamo sul nostro smartphone circa 2.600 volte al giorno.


A livello di neurofunzioni questo sta portando a una vera e propria dipendenza del sistema dopaminergico, per cui ogni volta che arriva un messaggio, questo a livello neurofisiologico funziona come il rinforzo che noi andiamo a cercare. Togliercelo induce ansia, preoccupazione, alert, stress, disturbi del sonno, bisogno di essere connessi… 

Togliere ai ragazzi lo smartphone vuol dire isolarli da un mondo complessissimo e allargatissimo rispetto a quello che avevano, ma anche dal circuito di tutti i rinforzi che noi come esseri umani andiamo a cercare, distaccandoli da tutto il sistema che riguarda il proprio sé e la propria esistenza.

Non è possibile dare un giudizio univoco, positivo o negativo, sull’impatto delle nuove tecnologie sulle menti dei ragazzi, ma è imprescindibile uno spirito critico su come questo possa influenzare lo sviluppo cognitivo e identitario.

Daniela Lucangeli – Psicoterapeuta
Come cita uno studio di Fondazione Onda, “L’utilizzo eccessivo degli strumenti tecnologici può portare alla perdita del contatto con la vita scolastica e di relazione, può costituire una soluzione inconsapevole alle difficoltà della vita reale, può riempire il vuoto che deriva dalle difficoltà di interagire con gli altri creando un falso equilibrio che sfocia in forti crisi nel momento in cui lo si interrompe. L’adolescente rischia così di isolarsi e di perdere una fase fondamentale della propria vita, un periodo di straordinaria ricchezza e potenzialità”.

Diversi studi hanno analizzato gli effetti cognitivi dell’esposizione al gaming e hanno mostrato che i videogame migliorano l’attenzione visiva e la coordinazione, ma inducono a comportamenti impulsivi e aggressivi. La struttura di questi giochi, ideata con l’incentivo a raggiungere il livello successivo per avere il premio finale, è molto attraente per ragazzi dipendenti dalla ricompensa e dimostra che chi ha sviluppato questi giochi conosce bene gli adolescenti e la loro neurofisiologia.

Come dice Tonino Cantelmi, Professore di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione dell’Università Gregoriana di Roma, “i nativi digitali imparano subito a manipolare parti di sé nel virtuale attraverso gli avatar e i personaggi dei videogiochi, sviluppano ampie abilità visuospaziali grazie ad un apprendimento prevalentemente percettivo, viceversa non sviluppano adeguate capacità simboliche (con qualche modificazione di tipo metacognitivo), utilizzano il cervello in modalità multitasking (cioè sanno utilizzare più canali sensoriali e più modalità motorie contemporaneamente), sono abilissimi nel rappresentare le emozioni (attraverso la tecnomediazione della relazione), un pò meno nel viverle (anzi apprendono a scomporre l’esperienza emotiva e a viverla su due binari spesso non paralleli, quello dell’esperienza propria e quello della sua rappresentazione), sono meno abili nella relazione face-to-face, ma molto capaci nella relazione tecnomediata, e, infine, sono in grado di vivere su due registri cognitivi e socioemotivi, quello reale e quello virtuale. Inoltre non hanno come riferimento la comunità degli adulti, poiché, grazie alla tecnologia, vivono in comunità tecnoreferenziate e prevalentemente virtuali, nelle quali costruiscono autonomamente i percorsi del sapere e della conoscenza.”

I giovani nativi digitali sono meno abili nella relazione face-to-face, ma molto capaci nella relazione tecnomediata

In questo contesto si affacciano i “genitori liquidi”, che appartengono alla generazione-di-mezzo, capaci di utilizzare la tecnologia digitale, hanno un profilo facebook come i loro figli, utilizzano il dialetto tecnologico degli adolescenti in modo goffo, e sono pienamente avvolti dalle dinamiche narcisistiche del contesto attuale, ma hanno rinunciato ad educare, cioè a trasmettere visioni della vita, narrazioni. Semplificando, acudiscono e non educano: il genitore liquido è un genitore silente, che rinuncia a narrare e a narrarsi, rinuncia a trasmettere una visione della vita, a dare criteri di senso per le scelte, spesso distratti, distanti.

L’intrecciarsi della rivoluzione digitale, trova il suo cortocircuito nell’impatto tra il sistema mente-cervello e la tecnologia digitale. Ovviamente questo non significa ignorare le enormi potenzialità comunicative della tecnologia digitale, ma piuttosto piegarle alle esigenze di un uso più strumentale. Senza demonizzare la tecnologia digitale è necessario ricostruire percorsi narrativi dell’identità, recuperare il gusto del bello utilizzando la percezione in modo esaustivo, riscoprire la potenzialità terapeutica della relazione umana.

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